Sempre più persone scrivono oggi, forse perché nessuno ascolta più. Si scrive in tanti modi, soprattutto sui social e, naturalmente, ci sono quelli che scrivono cose sensate o che invitano a riflettere ma ci sono quelli che – scrivendo – esprimono e diffondono il peggio dell’animo umano. I social network, nati come luogo di dibattito e condivisione di informazioni, sono diventati il mezzo privilegiato per la trasmissione di pensiero odioso e di incitamento alla violenza. Si riscontra oggi, non a caso, tanta aggressività nel linguaggio e nei comportamenti della nostra vita quotidiana. Forse perché, nel corso degli anni, si è persa l’educazione alla tolleranza: non si accetta il fatto che le opinioni degli altri possano essere anche condivisibili, o avere una componente di verità pari o superiore alla propria. Si parte dal presupposto che le proprie convinzioni sono principi assoluti e indiscutibili, per cui si respinge ad ogni costo il dialogo e il confronto. A costoro è mancata la buona “scuola che avrebbe come primo compito quello di educare al senso critico, a cui si accede alla sola condizione di accettare di problematizzare le proprie idee” (Umberto Galimberti).
Oltre a questo aspetto, non si dovrebbe dimenticare o sottovalutare il potere grandissimo di cui sono capaci le parole le quali, per dirla con la poetessa americana Anne Sexton: “Possono essere margherite, ma anche ferite”.
Le parole, se nutrite di comprensione, tenerezza e amore, sono come fiori e possono sollevare l’animo dalla disperazione ma, al tempo stesso, se diventano insulti carichi di odio, possono fare molto male e iniziano a seminare dolore per l’intera esistenza.
Del resto, lo stesso uso sapiente e calibrato delle parole è cosa ben nota agli esperti di retorica. Un tempo, l’ars oratoria, ovvero l’arte di persuadere, insegnata sin dall’antichità proprio attraverso la retorica, era indispensabile non soltanto per difendere i propri diritti ma anche per vivere e trasmettere comportamenti utili e virtuosi. Il verbo latino ‘suadere’, poi, rimanda all’aggettivo ‘suavis’ che significa dolce, piacevole, attraente. Per cui si potrebbe dire che la persuasione, tutto sommato, cercava e cerca di piegare dolcemente l’animo senza ricorrere a imposizioni o pressioni con la forza di prove vere o presunte. Una comunicazione molto diversa da quella dominante oggi sui social che – anche laddove non contenga espressioni di incitamento all’odio e alla violenza, cui si accennava prima – è comunque, in linea generale, fatta di slogan e di algoritmi, concise frasi ad effetto, spesso priva di rigore argomentativo, e finalizzata a modificare le idee e i comportamenti altrui.