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Piazza Fontana, 53 anni di commemorazioni e il doveroso racconto per le nuove generazioni

Milano ricorda oggi in Piazza Fontana, il 53esimo anniversario della “madre di tutte le stragi”, nella quale, il 12 dicembre 1969, persero la vita 17 persone, in seguito allo scoppio di una bomba che devastò e provocò un grande cratere nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura. (In piazza ormai da decenni, resta sul muro la vecchia insegna della banca, sotto la quale è ubicato un nuovo istituto bancario che ha preso il suo posto). La strage di Piazza Fontana ha aperto nel nostro Paese, quella che verrà definita la “strategia della tensione”, degli anni ’70. Dal giorno dei funerali, ogni anno, migliaia di milanesi, ricordano le vittime, compreso l’anarchico Giuseppe, Pino, Pinelli, considerato la 18esima vittima di Piazza Fontana.

Oggi il centro della città è attraversato dal corteo che parte da Piazza della Scala, da Palazzo Marino, (sede del Comune di Milano), per concludersi in Piazza Fontana dove, alle 16:37, orario dell’esplosione, sono deposte come sempre, le corone degli istituzioni e dei familiari delle vittime.

Alla cerimonia, partecipano: il Sindaco, Giuseppe Sala, Enrico Vizza, segretario Uil Milano e Lombardia, Roberto Cenati, presidente Comitato permanente antifascista, Giorgia Anfossi, studentessa, Federico Sinicato, presidente Associazione familiari di Piazza Fontana.
Oltre alla manifestazione del Comitato permanente antifascista di Milano, si terrà, come ogni anno, la contro manifestazione dei collettivi e centri sociali e, come sempre, la piazza torna a rappresentare un luogo dove la sinistra si divide, ancora una volta, anche sul senso di queste commemorazioni, che si ripetono negli anni e che non portano a nulla, se non al dibattito chiuso nel cerchio della fontana, al centro della piazza.

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, da Roma ricorda anch’egli la strage, in una dichiarazione: Sono trascorsi 53 anni dal feroce attentato che provocò nel cuore di Milano morti e sofferenze, sconvolgendo la coscienza del popolo italiano, con l’intento di minacciare le istituzioni della Repubblica. Avvertiamo il dovere di ricordare, con la stessa intensità di sempre, l’impegno di cui Milano per prima fu interprete e che consentì al Paese intero di sconfiggere le strategie eversive neofasciste e le bande terroristiche di ogni segno che insanguinarono la non breve stagione che seguì alla strage. Fu una delle terribili prove da cui la Repubblica seppe uscire rafforzata nei suoi valori costituzionali e nell’unità del suo popolo”, ha sottolineato il Capo dello Stato.

A molti italiani ma soprattutto alla Storia, piacerebbe conoscere pienamente la verità, (che alla fine, si conosce bene) per una strage che ha visto chiudere la storia giudiziaria nove anni fa, ma che continua a essere oggetto di studi e ricerche parallele, per un giusto e dovuto approfondimento.

Le indagini e la serie di processi conclusi con l’ultimo nel 2005, hanno dapprima seguito la pista anarchica (rivelatasi priva di fondamento) e poi la pista dell’eversione nera e dei servizi segreti. La sentenza della Cassazione del 27 gennaio 1987, assolse dall’accusa di strage gli estremisti di destra facenti parte di Ordine Nuovo (Franco Freda e Giovanni Ventura) e condannò solo degli esponenti dei servizi segreti per depistaggio. Il 24 febbraio del 2000 iniziò un nuovo processo che si concluse nel 2005, con la sentenza che stabilì che la strage di Piazza Fontana fu realizzata da un gruppo affine a Ordine Nuovo, (capitanato da Freda e Ventura, non più processabili perché assolti nel precedente processo del 1987). Non vi è stata una sentenza di condanna l’acquisizione di una verità storica: quella di Piazza Fontana fu una strage neofascista.

Ho seguito tutte le fasi degli ultimi due processi negli anni sino al 2005, contribuendo al lavoro d’inchiesta, con molti articoli e reportage, e faccio parte di coloro che continuano a sperare nella ricerca della testimonianza della verità, che soprattutto diventi oggetto reale e storico, per la conoscenza della nostra storia e per applicarla ai giorni nostri investendo la politica, le istituzioni e soprattutto i giovani e gli studenti, che nella maggioranza, non conoscono nulla di quel periodo così pesante e di sofferenza della società italiana e non sentono il bisogno di conoscerlo neanche lontanamente. Mai dimenticare, perché bisogna raccontare la Storia e insegnare la ricerca della verità, sempre … Perché è dal racconto che nascono le buone generazioni di uomini e donne di pace.

Per chi avesse voglia di documenstarsi: un po’ di storia, il dvd e articoli scritti su Piazza Fontana, dal 1995. Di Ketty Carraffa
Sono orgogliosa di aver passato decine di anni a cercare di raccontare la VERITA’.
Milano ricorda e non dimentica. Appuntamento in Piazza Fontana alle 16,15, sarà presente la Milano democratica. – L’impatto della bomba – Banca nazionale dell’Agricoltura
UN PO’ DI STORIA E CRONACA SCRITTA DA KETTY CARRAFFA PER “LIBERAZIONE” E L’OSSERVATORIO DEMOCRATICO, DAL 2001 AL 2004, SEGUENDO LA STORIA PROCESSUALE DI PIAZZA FONTANA. REALIZZAZIONE DVD : “Piazza Fontana – la verita c’è”.
Milano 12 dicembre 1969 la strage di stato – Milano 30 giugno 2001 la sentenza di condanna – la storia della madre di tutte le stragi – cronache dall’ottavo processo, atti e materiali di documentazione, gallerie fotografiche / (ideazione, testi e organizzazione Saverio Ferrari, Ketty Carraffa ; fotografie Galleri anni 2000 Almasio & Cavicchioni ; foto di copertina e Piazza Fontana oggi Ketty Carraffa) – Osservatorio democratico sulle nuove destre e sul processo per la strage di Piazza Fontana
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PIAZZA FONTANA: CORTE ASSISE APPELLO, PENTITI NON ATTENDIBILI
LE MOTIVAZIONI SULLA SENTENZA DEL 12 MARZO SCORSO, DEPOSITATE OGGI. I giudici di secondo grado si sono trovati d’accordo con la Corte d’Assise, almeno dal materiale parziale a loro disposizione, sulla responsabilita’ di Franco Freda e Giovanni Ventura
ketty carraffa – ufficio stampa aicvas – agenzia agi – 3/04/2004
I GIUDICI: SI’ REPONSABILITA’ FREDA E VENTURA
MA NON CI SONO PROVE DEL CONCORSO DEGLI IMPUTATI
(ANSA) – MILANO, 13 APR – I giudici di secondo grado si sono trovati d’accordo con la Corte d’Assise, almeno dal materiale parziale a loro disposizione, sulla responsabilita’ di Franco Freda e Giovanni Ventura per la strage senza che pero’ si possa dimostrare un concorso di Zorzi, Maggi e Rognoni nel reato.
Nelle motivazioni della sentenza con cui i giudici della Corte d’Assise d’Appello hanno annullato l’ergastolo per i tre imputati principali per la strage di piazza Fontana e’ infatti sottolineato che ”il collegio ritiene di dover, in definitiva, condividere l’approdo cui la Corte di Assise di Milano, peraltro in termini piu’ impliciti che espliciti, e’ pervenuta in ordine alla responsabilita’ di Freda Franco e Ventura Giovanni per i fatti del 12/12/69, pur avvertendo che tale conclusione, oltre a non poter provocare, per le ragioni piu’ volte esposte, effetti giuridici di sorta nei confronti di costoro, perche’ irrevocabilmente assolti dalla Corte d’Appello di Bari, e’ il frutto di un giudizio formulato senza poter disporre dell’intero materiale probatorio utilizzato a Catanzaro e Bari”. (ANSA).
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(AGI) – Milano, 13 apr. – La Corte d’Assise d’Appello di Milano ha considerato non attendibili le dichiarazioni rilasciate dal collaboratore Carlo Digilio e poco credibile anche il secondo collaboratore di giustizia, Martino Siciliano. Sono questi due dei motivi che hanno portato i giudici della Corte d’Assise d’Appello di Milano ad assolvere gli imputati per la strage di Piazza Fontana, che nel giudizio di primo grado erano stati condannati all’ergastolo. Sono state depositate quest’oggi le motivazioni della sentenza: 640 pagine in cui vengono riportati episodi, particolari, dichiarazioni e prove principali esaminate al processo.
“Il collaboratore – sostengono i giudici, riferendosi a Digilio – si e’ gravemente contraddetto a proposito della presenza di Zorzi, indicato fin dal 16 maggio del ’97 sino al controesame dibattimentale del 16 giugno 2000, non solo come presente con una automobile Diane ma anche con il compito di autista. La rilevanza di tale incoerente comportamento e’ di tutta evidenza”. Inoltre sostengono ancora i giudici: “il collegio non condivide ne’ l’argomentare ne’ l’approdo dei primi giudici i quali hanno rinunciato ad operare una verifica sull’attendibilita’ del narrato (riferendosi alle dichiarazioni di Digilio) o meglio trarre le dovute conseguenze da esso”.
PROCESSO PER LA STRAGE DI PIAZZA FONTANA
Ergastolo per Zorzi, Maggi e Rognoni. Queste le richieste del Pubblico Ministero – Ketty Carraffa – s. ferrari – Osservatorio Democratico – 18/05/2001
Con la richiesta di tre ergastoli per concorso in strage a Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Giancarlo Rognoni, il “non doversi procedere per estinzione del reato” ( riconosciute le attenuanti generiche ) per Carlo Digilio, e di anni due ( per favoreggiamento nei confronti dei principali imputati ) per Stefano Tringali, si è conclusa la lunghissima requisitoria, svolta dal Pubblico Ministero Massimo Meroni all’ottavo processo per la strage di Piazza Fontana. Una requisitoria che ha certamente avuto il merito di offrire insieme ad una valutazione delle prove, una rilettura assai interessante, basata su testimonianze e riscontri , del contesto storico e politico entro il quale maturò la strage del 12 dicembre 1969.
Non un lavoro come tanti altri possibili, per delineare un quadro temporale di riferimento, ma una vera e propria ricostruzione degli avvenimenti rigorosamente ancorati ai risultati delle indagini e alle carte processuali.
LE PRECEDENTI SCHEGGE DI VERITA’.
Il PM ha subito definito la strage come “parte di un disegno unitario”, ricordando gli elementi comuni anche sotto il profilo tecnico, che caratterizzarono nella giornata del 12 dicembre, i cinque attentati che furono portati a termine fra Roma e Milano, così come la lunga scia degli episodi dinamitardi precedenti la strage. Ben 22 azioni terroristiche tra l’aprile ed il dicembre del 1969, tra cui dieci ( otto riusciti e due falliti ) a convogli ferroviari nella notte tra l’8 e il 9 agosto, per i quali è stata accertata con una sentenza passata in giudicato, dunque senza ombra di dubbio, la responsabilità di Franco Freda e Giovanni Ventura.
Sotto questo profilo il PM ha anche richiamato gli elementi probatori accertati nella sentenza della Corte d’Assise di Catanzaro , che portarono nel 1979 alla condanna all’ergastolo di Freda e Ventura per le bombe alla Banca Nazionale dell’Agricoltura. Elementi probatori che “incredibilmente”, proprio così ha detto Meroni, successivamente “non furono ritenuti sufficienti dalla Corte d’Appello di Bari” che, come è noto, li assolse.
Ma è proprio partendo dal processo svoltosi a Catanzaro che è possibile rivalutare e collegare le precedenti “schegge di verità” ai nuovi importanti elementi emersi nel procedimento in corso.
LA CELLULA DI FREDA E VENTURA
“Nelle indagini”, è sempre il Pubblico Ministero a parlare, “sono stati acquisiti nuovi elementi da cui emerge con maggiore chiarezza la corresponsabilità di Freda e Ventura negli attentati compiuti il 12 dicembre 1969”. Decisive le testimonianze dell’elettricista Tullio Fabris che “non aveva esposto prima tutti i fatti a sua conoscenza, in quanto pesantemente minacciato in ben tre occasioni da Massimiliano Fachini e Pino Rauti”. Ora sappiamo “con assoluta certezza”, dice sempre Massimo Meroni, che “Freda aveva acquistato i timers allo scopo di utilizzarli per il compimento di attentati esplosivi e, dato che nel periodo in questione gli attentati del 12 dicembre 1969 sono gli unici eseguiti in Italia con l’utilizzo di timers prodotti dalla Junghans Diehl, ne esce ulteriormente dimostrato il coinvolgimento di Freda nell’attività di preparazione”. L’alibi, da lui sempre sostenuto ( di aver procurato i timers per conto di un fantomatico capitano Hamid dei servizi segreti algerini ) , si è dunque rivelato assolutamente infondato. Fa specie oggi pensare come sia stato possibile ritenerlo allora credibile.
Grazie a Tullio Fabris oggi abbiamo raggiunto la certezza che le cognizioni tecniche, a suo tempo da lui trasmesse a Freda e Ventura, in realtà erano destinate ad un’altra persona, quella che avrebbe dovuto poi materialmente costruire gli ordigni esplosivi destinati alle due banche di Milano ( la Banca Nazionale dell’Agricoltura e la Banca Commerciale Italiana di Piazza della Scala, la stessa dove lavorava Giancarlo Rognoni ).
Dietro a Freda e Ventura si articolava dunque una struttura più ampia e ramificata: il gruppo eversivo di “Ordine Nuovo” del Triveneto.
ORDINE NUOVO E I DEPOSITI DI ARMI.
Il PM Massimo Meroni è partito dal famoso Convegno all’Hotel Parco dei Principi, in cui si mise a punto la “strategia della tensione” ( convegno promosso nel maggio del 1965 dallo Stato Maggiore della Difesa ), per ripercorrere la storia del gruppo di “Ordine Nuovo” fondato inizialmente come corrente interna al MSI nel lontano 1954.
“E’ l’intervento lì tenuto da Pino Rauti “, ha detto Meroni, “a delineare la strategia futura” che porterà a “costituire le strutture miste di civili e militari, i cosiddetti ‘Nuclei di Difesa dello Stato’, nella prospettiva di un intervento militare”, cioè di un “colpo di Stato”.
Per questo scopo “Ordine Nuovo” accumulerà in quegli anni ingenti quantitativi di armi ed esplosivi. Nel Triveneto recuperati in diversi modi: da vecchi arsenali della RSI, da cave o da elementi gravitanti attorno alla criminalità comune, costituendo, fra l’altro, nella località di Paese, vicino a Treviso, un deposito soprattutto di esplosivi davvero impressionante per potenzialità distruttive.
Numerosi saranno in effetti i sequestri, prima e dopo la strage di Piazza Fontana, di armi ed esplosivi che vedranno coinvolti più di un aderente al gruppo. E’ il caso di Giovanni Ventura, nel novembre del 1971, che aveva fatto occultare armi e munizioni in una soffitta a Castelfranco Veneto. Sue anche le bombe a mano ed i candelotti rinvenuti a Crespano sempre in quell’anno.
Lo stesso Delfo Zorzi, nel novembre del 1968, venne arrestato e condannato a sette mesi di reclusione per detenzione di armi e di non modiche quantità di polvere nera. Dello stesso tipo utilizzato, va sottolineato, per alcuni gravi attentati, nell’ottobre del 1969, a Trieste ( alla scuola slovena ) e a Gorizia ( al cippo di confine ) , per altro da lui stesso compiuti, come ormai si è potuto accertare proprio nel corso di questo processo.
IL RIENTRO NEL MSI.
“Ordine Nuovo” decise improvvisamente di rientrare nel MSI nell’estate del ’69. Una decisione assunta verticisticamente da Pino Rauti che colse di sorpresa l’intera organizzazione.
Il vero motivo non era tanto da ricercare nel passaggio di segreteria da Michelini ad Almirante , quanto nella necessità di godere di “maggior garanzie di copertura” , di “aprire un ombrello protettivo” in una fase particolarmente delicata che andava prospettandosi.
Queste furono le argomentazioni che utilizzò lo stesso Rauti per convincere i suoi. Moltissime sono state le testimonianze in questo senso di ex-aderenti a “Ordine Nuovo”, i documenti e le lettere recuperate al processo.
Il “piano elaborato”, e già in corso con gli attentati ai treni, alla Fiera di Milano e ad alcuni uffici pubblici ( il palazzo della Corte di Cassazione, oltre che ai Tribunali di Roma e Milano ) richiedeva infatti un “livello di protezione”.
Rauti ed Almirante concordarono così la confluenza, riconoscendo a diversi esponenti di ON posti di rilievo ( Carlo Maria Maggi, fra gli altri, fu “cooptato” nel Comitato Centrale insieme a Paolo Signorelli ).
I TEORICI DELLE STRAGI.
In “Ordine Nuovo” il ricorso alla strage di gente inerme e innocente era apertamente teorizzata. Freda aveva già avuto modo di chiarire ai suoi come non bisognasse avere “alcuna preoccupazione per la salvaguardia della vita delle persone”. Maggi, Zorzi e Rognoni, dal canto loro, teorizzavano apertamente la strage come “strumento di lotta politica”. Circostanziate e concordi, sul punto, le molte testimonianze, anche qui, di ex-aderenti a ON.
Ma la storia di “Ordine Nuovo” nel Veneto è stata anche la storia di un gruppo che puntando alla strage non era immediatamente in grado di provocarla, per l’imperizia tecnica di molti suoi esponenti.
“Il gruppo aveva incontrato problemi per ottenere un corretto funzionamento dell’innesco degli esplosivi” , così il Pubblico Ministero ha sintetizzato questa fase. Di qui le consulenze e le proposte di “collaborazione” all’elettricista Tullio Fabris da parte di Freda, ma soprattutto il ruolo crescente che verrà assegnato a Carlo Digilio, esperto in armi ed esplosivi e “fonte informativa” della base NATO di Verona all’interno di “Ordine Nuovo”.
Sarà lui in quei mesi, su sollecitazione della stessa CIA, a consentire al gruppo il “salto di qualità” risolvendo i problemi tecnici, a metterlo in grado di puntare senza ostacoli alla strage.
Gli agenti americani della CIA, rintanati nelle basi NATO del Veneto, tiravano dunque le fila, “pilotando” gli avvenimenti.
ALLE DIPENDENZE DELLA NATO.
Ma è tutto il quadro dirigente di ON a dipendere in realtà dai servizi segreti italiani ed americani. Questo processo ha consentito di raggiungere anche un’altra verità: “Ordine Nuovo” e la galassia neofascista in Italia non rappresentava banalmente l’ “ala dura del partito del golpe”, un aggregato di bombaroli semplicemente dediti a provocare le condizioni più favorevoli per un “colpo di Stato”.
“Ordine Nuovo” e ”Avanguardia nazionale”, ben più concretamente sono stati uno strumento, tutto interno alle strutture non ufficiali dello Stato italiano e dell’alleanza atlantica. In parole povere: gruppi paramilitari al servizio del SID e della NATO, allestite, incoraggiate e aiutate anche finanziariamente nel dopoguerra per contrastare la “minaccia comunista”.
A loro venne demandato il lavoro sporco stragista. Da buoni nazisti non si tirarono indietro. Massimo Meroni ne ha parlato nella sua requisitoria, indicando il “doppio ruolo” svolto da molti di loro, convinti neofascisti e al contempo ora agenti al servizio degli americani ( è il caso di Carlo Digilio e di Marcello Soffiati, il capocellula di Verona ) ora al servizio dell’Ufficio Affari Riservati del Ministero degli Interni o del SID ( come i capicellula di Udine, Cesare Turco, e di Trieste, Manlio Portolan, e almeno di altri sei nella stessa cellula di Freda e Ventura . Di loro conosciamo ormai anche i nomi in “codice” assegnati dal SID: fonte “Turco”, fonte “Tritone”…).
Nel giugno scorso, nella relazione del gruppo parlamentare dei DS nella Commissione Stragi, si parlò anche dei riscontri di finanziamenti sistematici da parte dell’Ambasciata degli Stati Uniti di Roma a Pino Rauti nei primissimi anni ‘70. Il cerchio ora si chiude definitivamente.
Ma veniamo al percorso finale che porterà alla strage del 12 dicembre del 1969.
LA BOMBA.
Dopo aver risolto ( nei giorni immediatamente successivi all’attentato alla scuola slovena di Trieste ) i problemi tecnici relativi al sistema di esecuzione con ritardo di ordigni esplosivi, il gruppo di ON si prepara alla strage.
Carlo Maria Maggi fa avvisare i simpatizzanti, ai primi di dicembre, di “stare particolarmente attenti e di liberarsi di armi compromettenti”, Carlo Digilio informa il suo referente all’interno della base NATO di Verona ( il capitano David Carret ) che ormai tutto è pronto.
Il 6 o 7 dicembre a Mestre, Delfo Zorzi mostra a Carlo Digilio nel portabagagli della vecchia 1100 FIAT di Maggi, tre cassette militari con scritte in inglese piene di esplosivo ed il congegno innescante. Non si sente sicuro di trasportare il tutto fino a Milano e chiede consiglio. Digilio lo rassicura in ordine allo stato di conservazione dell’esplosivo ma lo invita a cambiare cassette ( troppo visibili ) e a recuperare una macchina meno vecchia con ammortizzatori migliori.
Zorzi risponde “ Io so già cosa fare quando arrivo a Padova, cambio automobile e l’esplosivo lo metto in cassette metalliche , del tipo Juwel, quelle per la custodia dei valori.”
Questo non più di cinque giorni prima del 12 dicembre.
LE PROVE
Non è certamente possibile riassumere compiutamente in poche righe il complesso delle prove. Imponente è la mole delle dichiarazioni che convergono su tutti gli imputati.
Carlo Digilio, Martino Siciliano, Maurizio Tramonte, Giampaolo Stimamiglio ( per averlo saputo da Giovanni Ventura ) ed Edgardo Bonazzi ( per averlo saputo da Nico Azzi ), indicano in Delfo Zorzi l’autore materiale della strage, il “responsabile militare” che selezionò allo scopo gli uomini “migliori”.
Digilio, Tramonte e Piero Battiston accusano invece Maggi di essere stato il “regista” dell’intera operazione.
Digilio, Bonazzi, Tramonte convergono, dal canto loro, a sostenere il ruolo di “supporto logistico” assunto da Giancarlo Rognoni.
Il tutto con i riscontri di ulteriori testimonianze ( soprattutto di ex-fascisti che appresero nel circuito carcerario confidenze in ordine ai responsabili ); moltissime intercettazioni telefoniche ( il più delle volte compromettenti ); conferme riguardo luoghi, circostanze e dettagli tecnici. Tra l’altro si è anche riusciti a ricostruire il percorso successivo dei timers rimasti nella disponibilità di “Ordine Nuovo” dopo Piazza Fontana, utilizzati per altri attentati, come ai treni sindacali diretti per una manifestazione a Reggio Calabria nel 1972. In questo quadro risulta assolutamente infondato l’alibi di Maggi: il 12 dicembre del 1969, da accertamenti eseguiti presso l’ospedale Giutinian di Venezia, non era in congedo dal lavoro per malattia, come sempre sostenuto.
Di particolare interesse infine un’ intercettazione telefonica assai recente ( del 26 settembre del 1995) fra Roberto Raho e Piero Battiston , ex di ON da cui viene fatta inequivocabilmente risalire al gruppo la responsabilità della strage.
Con le richieste di condanna all’ergastolo, come già si è detto, il Pubblico Ministero Massimo Meroni ha concluso la sua lunga requisitoria: due giorni e mezzo, più di venti le ore utilizzate per l’esposizione, il deposito di una memoria di quasi 600 pagine. Aveva iniziato ricordando, nome per nome, tutte le 17 vittime della strage. Un fatto non rituale.
Da oggi la parola agli avvocati di parte civile.
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L’OSSERVATORIO ALLA FESTA DI LIBERAZIONE DI MILANO
Allo spazio Giovani, lo stand della Memoria. Vi aspettiamo il 6 luglio, allo spazio Cinema, per il dibattito sulla sentenza di Piazza Fontana
Ketty Carraffa – Osservatorio Democratico – 21/06/2001
L’OSSERVATORIO DEMOCRATICO E’ PRESENTE ALLA FESTA DI LIBERAZIONE DI MILANO IN VARIE FORME:
– Gestisce lo stand della Memoria, situato nell’area “Spazio Giovani”, dove potrete trovare documentazione inerente al lavoro di ricerca e studio;
– Gestisce la rassegna dei film legata a serate “a tema”:
LUNEDI’ 25 GIUGNO – Serata con presentazione e proiezione de: “I cento passi”, con Saverio Ferrari, Giovanni Impastato e Giovanni Russo Spena.
– VENERDI’ 6 LUGLIO – Serata dediacta alla sentenza di Piazza Fontana. Conduce DANIELE BIACCHESSI, giornalista Radio 24
Con : Avvocato delle parti civili Federico Sinicato, Avvocato Giovanni Pellegrino (ex presidente Commissione Stragi) – Saverio ferrari (Osservatorio Democratico) – Un rappresentante dell’Osservatorrio 28 maggio (Bresca).
Proiezione video: “Ho visto volare una bicicletta” – Sulla strage di Piazza della Loggia. presenta l’autore, Eros Mauroner.
DOMENICA 8 LUGLIO – serata dedicata a Fabrizio De Andrè.
Conduce Ketty Carraffa (Osservatorio Democratico -Uff. Stampa Festa Liberazione Milano). Con: Paolo Finzi (Rivista “A”) – Teresa Sarti (Presidente “Emergency”
– Presentazione mostra “Segni De Andrè” (Di Vincenzo Mollica e Pepi Morgia) – Con massimo Rossi (sindaco PRC di Grottammare).
Presentazione e proiezione del film: “Faber” – Con Bruno Bigoni e Romano Giufrida, autori.
Segue al Palavobis il concerto dei “Mercanti di Liquore
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UN IMPORTANTE TESTE PER PIAZZA FONTANA
Scheda del generale Gianadelio Maletti, ex capo del reparto D del Sid, condannato per la strage alla Questura di Milano
Ketty Carraffa – s. ferrari – Osservatorio Democratico – 20/03/2001
Il generale Gian Adelio Maletti dopo aver annunciato il suo rientro in Italia per testimoniare al processo sulla strage di Piazza Fontana, si è presentato regolarmente nell’aula di Via Filangieri.
Già nell’agosto dell’anno scorso aveva fatto sapere di essere disponibile a raccontare alcuni retroscena degli anni ’70.
Latitante da 21 anni in Sudafrica, il generale ex capo del reparto D del Sid, è arrivato in Italia grazie ad un salvacondotto previsto dal nuovo codice di procedura penale, pur essendo stato condannato a 15 anni per la strage alla Questura di Milano, del 17 maggio 1973.
GIANADELIO MALETTI: UNA STORIA DENTRO LA “STRATEGIA DELLA TENSIONE”.
Depositario di moltissimi segreti, soprattutto relativi agli episodi più tragici e sanguinosi della strategia della tensione, Gianadelio Maletti, ex-generale di divisione , responsabile dal 1971 al 1975 del reparto D del SID ( il Servizio Informazioni Difesa ), è oggi un uomo di ottanta anni.
Divenuto, dopo la sua fuga più di venti anni fa in Sud Africa, cittadino di quel paese, si è solo ultimamente reso disponibile ( forte di un “salvacondotto” previsto dal nostro Codice di Procedura Penale ) a farsi interrogare davanti la 2° Corte d’Assise di Milano ( nell’ambito dell’ottavo processo per la strage di piazza Fontana ) oltre che dai Pubblici Ministeri di Brescia che indagano sulla strage di Piazza della Loggia . Figlio di un eroe della guerra d’Africa, arrivò a ricoprire la importantissima carica di numero due nella gerarchia del SID, dopo una carriera che l’aveva visto, tra l’altro, addetto militare in Grecia nel 1967 , all’epoca del colpo di Stato dei colonnelli.
Circostanza questa di non poca importanza soprattutto alla luce di alcune affermazioni rilasciate recentemente, l’agosto scorso, in un’intervista al quotidiano “La Repubblica”, quando accusò la CIA di aver cercato in Italia di fare, alla fine degli anni ’60, “ciò che aveva fatto in Grecia”.
Iscritto alla P2, pupillo di Andreotti, è stato condannato a 15 anni, l’11 marzo del 2000, per “occultamento di notizie sulla sicurezza dello Stato” relativamente alla strage davanti la Questura di Milano del 17 maggio del 1973. Nelle 400 pagine delle motivazioni, depositate dalla 5 ° Corte d’Assise, di lui si dice che “ seppe dal capitano La Bruna dei propositi di attentato a Rumor”.
”Seppe addirittura prima che tale attentato venisse perpetrato”. Non solo non parlò, ma ostacolò le indagini successive. Già “ 4 giorni dopo l’attentato sapeva che l’ informatore “Negro” era Bertoli” ma “ si preoccupò subito di non fornire elementi ai magistrati”. Venne infatti, non a caso, acquisita solo molto dopo, con decenni di ritardo la documentazione sulla collaborazione del finto anarchico Gianfranco Bertoli al servizio segreto. Stessa sorte anche per le bobine con le registrazioni di alcuni colloqui, in cui si preannunciava l’attentato, intercorsi tra il capitano La Bruna del SID e Remo Orlandini, uno dei finanziatori dei piani golpisti che ispirarono la strage davanti la Questura.
Ma Maletti aveva nel passato già accumulato più di una condanna: un anno nel 1987 ( sentenza definitiva della Cassazione ) per aver offerto copertura e assicurato la fuga ad alcuni indagati per la strage del 12 dicembre 1969 ( il componente della cellula di Freda Marco Pozzan e l’agente “Z” del SID, Guido Giannettini ); 14 anni nel 1996 per procacciamento di notizie riservate ( un dossier su un traffico di petrolio con la Libia tesa a finanziare una scissione di destra nella DC nel 1975 ), nell’ambito del processo a Licio Gielli e ai vertici della P2. Per lui furono anche chiesti 8 anni di reclusione dal PM di Venezia ( sempre per “soppressione di atti concernenti la sicurezza dello Stato “) al processo per la caduta dell’aereo “Argo 16”, utilizzato dai servizi segreti italiani per viaggi ”coperti” ( avvenuta a Marghera il 23 novembre 1973 ), nella quale morirono i quattro membri dell’equipaggio.
Il nome di Maletti è ancora recentemente riemerso nelle rivelazioni del pentito di mafia Francesco Di Carlo come mandante dell’assassinio a Palermo del giornalista Mauro De Mauro, in procinto di rivelare i retroscena dell’imminente “golpe Borghese”. La storia di Gianadelio Maletti è con tutta evidenza parte della storia stessa del SID.
Quando nell’agosto scorso Malettti rilasciò la ormai famosa intervista a “La Repubblica” confermò in molti punti i risultati delle indagini condotte a Milano dal Giudice Guido Salvini.
Disse:”La CIA voleva creare , attraverso la rinascita di un nazionalismo esasperato e con il contributo dell’estrema destra, Ordine Nuovo in particolare , l’arresto di questo scivolamento verso sinistra. ”, utilizzava Ordine Nuovo ” con i suoi infiltrati e con i suoi collaboratori. In varie città italiane e in alcune basi della NATO:Aviano, Napoli”. “Numerosi carichi di esplosivo arrivavano dalla Germania, via Gottardo direttamente in Friuli e in Veneto …destinati a Ordine Nuovo.
Anche l’esplosivo usato a Piazza Fontana proveniva da uno di questi carichi”.
I politici dominanti del momento “è ovvio che sapevano…A quel tempo, molti di loro, compreso il Capo dello Stato Leone, furono costretti ad accettare il gioco”.
Affermazioni pesantissime. Quel che è certo che Maletti, in quanto custode di tante verità della “strategia della tensione”, potrebbe finalmente squarciare molti veli. Potrebbe, attraverso le sue deposizioni, anche rendere ineludibile una richiesta formale di rimozione del “segreto NATO” sui fascicoli custoditi nelle basi in Veneto.
Già nel 1996 il Giudice Salvini chiese di poter visionare quegli incartamenti. Nessun sostegno e nessuna iniziativa venne intrapresa dal nostro Governo presso il Comitato NATO a Bruxelles e la domanda rimase senza risposta.
Cadde nel vuoto.
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