Pentole che percuotono pentole, cucchiai che si incrociano e mestoli che sbattono sui tegamini: è così, con una protesta anche folcloristica, rumorosa ma pacifica dall’inizio alla fine, che oggi pomeriggio i ristoratori cremonesi hanno manifestato il loro dissenso contro la nuova stretta imposta al settore dall’ultimo Dpcm. Lo hanno fatto sotto la pioggia, riparati da ombrelli e cerate, non a caso davanti alla Prefettura, riferimento territoriale di uno Stato “che ci sta uccidendo”. Una cinquantina, fra titolari e gestori di locali e trattorie del capoluogo e della provincia, chef e camerieri, gli operatori del comparto scesi in corso Vittorio Emanuele, tutti rigorosamente in mascherina. Hanno fatto rumore con le pentole, urlato qualche slogan (“Chi non salta Conte è”, “Vergogna, Vergogna”), mostrato cartelli (“L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro”) con una grande preoccupazione per il futuro: “Ci hanno chiesto di adeguarci alle norme di sicurezza e lo abbiamo fatto investendo tempo e risorse. E questo è il ringraziamento – il pensiero diffuso e comune, condiviso anche dai referenti delle categorie presenti all’iniziativa -. Paghiamo per tutti, pagheremo tutti. Molti di noi saranno costretti a chiudere”. C’è chi ha chiesto ai sindaci di sostenerli “come De Magistris a Napoli” e chi si è appellato ai medici. “Non c’è alcuna ragione medico scientifica che giustifichi un provvedimento simile. Il governo ci ascolti prima che per noi sia troppo tardi”. Li ha ascoltati il prefetto, Vito Danilo Gagliardi, che ha ricevuto una delegazione di quattro referenti annotandone le istanze, fatto ovviamente salvo il rispetto assoluto delle regole. Alla fine, i tegami sono rimasti a terra: stesi uno a fianco dell’altro, nel mezzo di un improvvisato rosario, sono diventati così l’ultimo simbolo del “funerale delle pentole”. (ANSA).